Una crisi interna, di quelle che colpiscono nel fondo delle paure americane, un giovane che uccide altri giovani, in una scuola, di nuovo. la campagna per le primarie ha un sobbalzo, si ferma per un attimo e rivolge un pensiero: si mettono in mostra doti importanti, di gestione delle crisi difficili, emotive e sociali. i candidati democratici (come quelli repubblicani) reagiscono mostrando i propri caratteri di candidatura. e lo fanno sul web. hillary senza pre-home, solo in evidenza come breaking news. edwards in un chiaroscuro semisimbolico e tondeggiante. obama, anche lui in pre-home, sobrio in un gioco di linee e grigi.


hillary parla in prima persona, pragmatica, secca, predicati duri (“scioccata”) e parole di impatto figurativo (“orribile”, “tragedia”). rivolge le sue preghiere (tutti i presidenziabili pregano) sì alle persone, ma poi anche e soprattutto alle comunità, al campus universitario, alle istituzioni. l’attacco è da Presidente, poco femminile. poi arriva la mamma, presentata quasi con il distacco della metafora, come se solo dichiarandosi madre possa trovare un tono di vicinanza emotiva. e infatti eccola perderlo, con la speranza confinata alla comprensione cognitiva – si immagina con azione seguente sottintesa – di quella che è metà tragedia umana e metà tema sociale di azione di governo.

la forza morale del rigore cognitivo e pragmatico.


johs edwards risponde insieme alla moglie elisabeth. hanno perso un figlio a 16 anni, e nel ricordo implicito il loro dolore (“cuore spezzato”) produce sincera solidarietà. il dolore provato permette loro di sapere cosa si prova e a quale “cambiamento di vita” si va incontro. sono amici vicini, che offrono il conforto e la dedica d’altri tempi di un inno che fu loro di conforto. sono persone come le altre, potenti uniti ai deboli colpiti dal lutto, uniti nell’abbraccio della nazione, umanizzata anch’essa nella preghiera di un plurale che un nucleo di relazioni affettuose con e tra altri. il buonismo religioso li spinge a un sogno impossibile, come davvero nei momenti di disperazione, al desiderio che “quel giorno ricominci daccapo”, che si spegne restando caldo accolto nel pensiero di dio e della pace.

la forza vicina della spiritualità umana.


obama è asciutto, poche righe e frasi brevi. Parla al plurale, ma firma da solo. Parla a nome di un noi inclusivo, coinvolgente e presidenziale. Ci fa vedere crudeltà dell’atto positivo della violenza (c’è un male), che porta via i giovani dal mondo, lascia immaginare un male da contrastare, con le preghiere che sfiorano le famiglie e si scontrano con la lotta ferita delle vite disperse. È a loro, poi, che Obama si rivolge, a chi non c’è più: figlie e figli, dei genitori e di tutti, e poi speranze del paese, di cui sarebbero stati, anche loro, i futuri leader, di cui tutti, futuro presidente (nelle parole), genitori e paese, sentiranno la mancanza. Obama non si avvicina, non lascia immaginare reazioni, ma costruisce la memoria di chi non c’è più, dedicando un pensiero di ricordo in cui l’ingiustizia trova sempre di fronte a lei l’ottimismo del sogno americano.

la forza audace della speranza.


in un momento difficile i candidati si espongono, e si presentano, con poche parole e embrioni di narrazioni che molto già lasciano intravedere.