venerdì 29 giugno 2007

Veltroni: La storia sono io, questo patto democratico

Veltroni ha parlato. Ha posto termine alla spasmodica attesa che attanagliava le menti politiche dello stivale. Un’ora e quaranta di discorso. Un’ora e quaranta di visita nella politica raccontata. Un PD tratteggiato con poche fratture e molti link alla storia italiana. Veltroni è saggio e sa che la storia è, prima che fatto accaduto, giudizio sugli avvenimenti. Racconto da rendere condivisibile, senza per questo rinunciare a farne un racconto politico.
Il sindaco sa che simboli storici, uomini, muri e ideologie, se ricamati con cura, possono divenire un viatico che non può che condurre al Partito Democratico. Il fascismo non lo si nomina. Troppo indietro, troppo Emilia Romagna. Il primo ad essere nominato è De Gasperi. Un padre della Repubblica, non partigiano, ci vuole. Poi tocca alle Ideologie. Simboli di quella Italia tormentata che fa tanto soffrire Walter. Ma arriva una citazione che uccide il tormento ideologico: Olaf Palme. Quanti se lo ricordano Olaf Palme? Non in molti. Pochissimi fra chi ha meno di venti anni. Ma credo che Olaf Palme sia la cosa più vicina ad Ikea che i cinquantenni abbiano in testa. Concreto, piacevole e giusto. Un sogno da realizzare un pezzo alla volta, così come imponeva il riformismo socialdemocratico scandinavo; così come offre il catalogo Ikea.
Poi arrivano gli anni ottanta italiani. Le politiche economiche che fanno crescere il PSI e il debito pubblico: Brutti e cattivi.
Il racconto, quindi, arriva alla svolta, al totem storico per eccellenza: Il muro di Berlino. La fine del mondo diviso, l’ideologia che implode, l’apertura a nuove strade da percorrere. Cosa rimane da ricordare e da (ri)raccontare? Gli anni novanta, la scalata italiana all’Europa, le manovre economiche enormi e faticose guidate da un saggio governatore- presidente- nonno d’Italia: Carlo Azeglio Ciampi. Poi i governi dell’innominabile non nominato per tutta l’ora e quaranta di storia. Perché citarlo? Perché dargli valenza di simbolo quando nella storia italiana di Veltroni Berlusconi non esiste?Il Cavaliere, nella simbologia veltroniana, è una sala d’attesa in cui gli italiani strepitano, scalciano e litigano perché la fila non scorre come promesso. Le attese si dimenticano volentieri e Veltroni lo sa. La cura si ricorda, anche se fa male: si arriva all’attuale governo Prodi. Che arriva e prova a mettere ordine. Più vicino di così Valter non poteva arrivare. Cita anche gli incendi siciliani del giorno prima per parlare delle preoccupanti trasformazioni climatiche. Veltroni ricompone tutto, lo leviga con aggettivi e sfumature alt(r)e. Ogni evento diviene pezzo del suo PD: l’amore per la democrazia(De Gasperi); la lotta alla povertà e non alla ricchezza (Olaf Palme VS Ideologia); un approccio politico sereno, non ideologico (Ia caduta del muro di Berlino); La volontà di ricostruire una giustizia sociale che sappia guardare ai conti dello Stato e all’Europa (Craxi VS Ciampi). Il Governo Prodi che prova tenere insieme tutto questo. Veltroni mixa, taglia, copia e incolla, sapendo che l’unico foglio, l’unico file capace non solo di tenere insieme ma di organizzare tutto è lui stesso. Veltroni è un foglio excel. Lo è per storia personale (e lo dice), per la carica di sindaco, per le battaglie non combattute, per le battaglie perse e presto dimenticate e fatte dimenticare. Non a caso una delle sue parole chiave è “Patto”. È il patto che si stipula fra chi racconta una storia e chi l’ascolta. Sospendere l’incredulità diceva qualcuno, Veltroni ieri lo ha chiesto. Ma patto che sta anche per unirsi, fidarsi, assegnarsi un ruolo nella sicurezza che gli altri faranno lo stesso.
Veltroni chiede agli italiani di indossare i suoi occhiali, che costano meno di quelli di Lapo Elkann.
E lo chiede leggendo l’Italia (e la sua storia) con quella lente gestaltiana che solo nell’insieme delle cose e delle persone trova il valore aggiunto. Un percorso, secondo le ultime parole di Veltroni, che non è solitario ma da comitiva, come presagimmo con LDC. Un percorso che per essere interessante, dice Veltroni, deve essere – magari – anche allegro. Insomma Valter testa la sua credibilità lanciando un patto, più largo di quello generazionale da lui esplicitato. Un patto che prova, tanto per iniziare, a ricucire la storia di un paese in un modello che cade perfettamente sulle spalle un po’ spioventi del Sindaco di Roma. Proprio come fece il Mitterand alle elezioni presidenziali con il fantastico spot di Seguelà. L’unica differenza è che Mitterand le spalle larghe le aveva davvero. Vedremo se il vestito che si è disegnato il buon Valter farà dimenticare anche questo difetto.

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