mercoledì 16 maggio 2007

Moccia, Gin e la moto di Mussi

di Stefano Cappellini - Il riformista, 16 maggio2007

«Sono partito democratico e non torno indietro», dice il manifesto della Margherita sul Pd. «“Voglio morire”. Questo è quello che ho pensato quando sono partito», dice l’incipit di Ho voglia di te. E forse i diversi stati d’animo alla partenza possono spiegare perché Piero Fassino, l’altroieri, ai giovanilistici microfoni di Radio Luiss, abbia indicato nella pellicola tratta dal romanzo cult di Federico Moccia il film-manifesto del Pd. Perché magari Fassino non aveva tanta voglia di imbarcarsi. Chissà. Forse all’idea di lasciare la casa vecchia, dove era pur sempre il capofamiglia, per la nuova, dove il pater familias è incerto, s’è sentito come quando Step, messo alle spalle l’amore di una vita, si è imbarcato al buio su un aereo per New York. E Piero avrà pensato, proprio come il suo personaggio di riferimento, che partire è un po’ morire e andare lontano significa lasciarsi alle spalle amici e compagni che in tua assenza parleranno di te, e più ancora sparleranno, come dei Mussi e degli Angius qualsiasi. Com’è che dice Step? «La tua memoria sarà vittima di uno stronzo qualsiasi e tu non potrai farci nulla».
Ma poteva Fassino scegliere un altro film? Si direbbe di no. Nella terna suggerita dall’intervistatore per vestire di metafora la storia tra Ds e Margherita le alternative non erano competitive. Certo non Matrimonio all’italiana, che - avrà pensato il leader - col suo plot di figli illegittimi, famiglie allargate, fecondazioni eterologhe pare la reclame della Rosa nel pugno. Mentre il mucciniano Come te nessuno mai, storia di pischelli e spinelli, occupazioni e cheguevara lo si potrebbe proiettare direttamente col logo della Linke di Folena e Bertinotti. O forse sì, Fassino poteva rispondere diversamente. Oppure non scegliere. E invece ha detto: Ho voglia di te. Te, Margherita? Te, Pd? Suggestioni. Interrogativi. Dubbi. Per esempio, l’opzione fassiniana significa che il nuovo busto nel pantheon democratico, dopo Turati e Nenni, Togliatti e Gramsci, Craxi e Berlinguer è riservato a Moccia? O non è piuttosto quella di Fassino una cooptazione di Scamarcio, idealtipo della nuova Gd, Gioventù democratica, e perfetto modello di ricambio generazionale, non secchione come Andrea Orlando, non stempiato come Nicola Zingaretti, non pedante come un sinistro giovanile a caso? (Senza dimenticare che adottando il film in un colpo solo porti a casa anche Tiziano Ferro, ai congressisti del Pd risparmi l’ennesimo Fossati e il nuovo inno sarà Ti scatterò una foto, insuperabile aggiornamento modernista di quello che in vetusto sinistrese si definiva il «quadro della situazione»).
Facile fare ironia. Ma se tu sei il leader di uno storico partito, e devi spiegare a un giovane di generazione X perché hai deciso di fonderti con un altro partito, non c’è modo di spiegarlo meglio che con la sinossi di Ho voglia di te. Basta sostituire un nome di donna per un altro, Gin per Margherita, e il gioco è fatto: «Molte cose sono cambiate e l’incontro con la travolgente ed irresistibile Gin catapulterà Step verso emozioni e sensazioni che credeva d’aver provato solo per Babi, il primo grande amore il cui ricordo non si è mai spento».
Eppoi il film celebra la forza del clan, degli amici e compagni che ti accompagnano e di quelli che non ci sono più. Come Pollo. Pur di recuperarne la moto, Scamarcio si cimenta in una spericolata corsa clandestina su due ruote, modello James Dean. E (metaforicamente) Fassino non farebbe lo stesso per la vecchia moto di Mussi, quella che non a caso è diventata uno snodo del congresso Ds di Firenze? Ha raccontato D’Alema dal palco: «Salimmo io e Mussi su quello che allora era il nostro unico mezzo di locomozione e ce ne andammo su uno di quei monti che circondano Pisa, dai quali si va verso la Lucchesìa, in campagna. Lì, facemmo una discussione tra noi su ciò che avremo dovuto fare: se abbandonare o no il Partito comunista». Torna tutto. Due amici, una moto, una vecchia storia, un nuovo amore. Ho voglia di te. Il Pd raccontato al nipote, che Fassino non lo conosce, Scamarcio sì.
Certo i maligni non mancano mai. E insinuano: ma Fassino l’avrà visto il film? O almeno avrà letto il libro? Mah. E peggio dei maligni sono i compagni, che ghignano: ma non si è accorto il buon Piero che Moccia ha appena dichiarato amore politico a Walter Veltroni? Walter sì, commentano, che avrebbe potuto celebrare Moccia senza passare per quei genitori che pur di mettersi a proprio agio coi figli e i loro amici smanettano sms, vestono jeans, fingono interesse per Youtube e il massimo che ne ricavano è di sembrare giovanili. Piccolezze. Ma un errore Fassino l’ha commesso davvero. Dice infatti Moccia che il sindaco di Roma lo voterebbe sempre e comunque, anche se è di destra (lo scrittore). Per una questione mezzo urbanistica mezzo letteraria: unico democrat, Veltroni ha difeso i lucchetti dell’amore, simbolo della moccitudine, appesi ai lampioni di Ponte Milvio. Mentre Fassino, riportano le cronache romane, i lucchetti vorrebbe metterli ai troppi locali che turbano il sonno della sua abitazione romana, a piazza delle Coppelle, ritrovo di giovani molto alla Moccia. E no. Non può essere lo stesso Fassino che ha scelto per il Pd Ho voglia di te. Rimediare. Sennò qui va a finire che Moccia vota Pd, Veltroni fa il leader e a Step toccherà spiegare che, per colpa di quel matusa di Fassino, il Negroni deve andarselo a bere da un’altra parte.

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